Sette anni fa, il 4 marzo 2018, il destino ci ha strappato un uomo, un atleta, un leader silenzioso che incarnava valori rari: umiltà, dedizione e un amore incondizionato per il gioco più bello del mondo. Davide non era solo un calciatore, non era solo il numero 13 della Fiorentina o un difensore di straordinaria affidabilità. Era il Capitano, con la "C" maiuscola, un simbolo di ciò che significa rappresentare una squadra, una città, una tifoseria.
Astori era il tipo di leader che non aveva bisogno di urlare per farsi ascoltare. Bastava il suo sguardo, la sua calma, il modo in cui si allenava ogni giorno con la stessa passione del primo. Sul campo, la sua intelligenza tattica e la sua eleganza nel leggere il gioco lo rendevano un pilastro insostituibile. Ma era fuori dal rettangolo verde che Davide mostrava la sua grandezza: un uomo semplice, un padre amorevole, un compagno di squadra che ispirava con l’esempio più che con le parole. La fascia da capitano che portava al braccio non era solo un pezzo di stoffa; era il riflesso di una responsabilità che lui viveva con orgoglio e naturalezza.
Il 4 marzo 2018, quando la notizia della sua improvvisa scomparsa si diffuse, il calcio si fermò. Non ci furono partite, non ci furono gol, solo silenzio. Un silenzio assordante, rotto dalle lacrime di compagni, avversari e tifosi. Firenze, la sua Firenze, si strinse attorno a lui, trasformando il dolore in un abbraccio collettivo che ancora oggi avvolge la sua memoria. I murales, i cori, le sciarpe viola appese ovunque: Davide non è mai andato via. Vive nei cuori di chi lo ha conosciuto, di chi lo ha visto giocare, di chi ha imparato da lui cosa significhi essere un uomo vero.
Essere Capitano non è solo guidare una squadra in campo. È lasciare un’eredità, un’impronta che resiste al tempo. Davide Astori lo ha fatto. Ha insegnato che il talento senza umanità è vuoto, che la forza di un leader si misura nella capacità di unire, di proteggere, di ispirare. La Fiorentina, il calcio italiano, i tifosi di ogni colore: tutti ricordano quel sorriso timido, quella serenità che trasmetteva anche nei momenti più difficili.
Oggi, nel settimo anniversario della sua morte, non possiamo fare altro che guardare al cielo e dirgli grazie. Grazie, Davide, per essere stato un Capitano eterno. Grazie per averci ricordato che il calcio non è solo un gioco, ma un sentimento che lega le persone oltre ogni confine. Il tuo numero 13 è scolpito nella storia, il tuo nome è un inno alla vita. Firenze ti porta nel cuore, e noi con lei, orgogliosi di averti avuto, commossi nel ricordarti, certi che il tuo spirito continua a vegliare su di noi.
Sei stato, sei e sarai per sempre uno di noi.